Di re nudi



Guest post di Peter Schiesser

Bondo, Houston, Orlando, Livorno, India-Nepal-Bangladesh: l’attualità porta le catastrofi naturali in primo piano. Se nel sud-est asiatico è una triste tradizione che centinaia di persone perdano la vita a seguito di alluvioni (così da non accorgerci nemmeno che queste, con 1200 morti, sono le fra le peggiori degli ultimi decenni), in casa nostra ci sorprendiamo di vedere cadere 4 milioni di metri cubi di roccia in un sol colpo, mentre allarmati volgiamo lo sguardo verso l’America, a Houston e in Florida. E, credo tutti, ci chiediamo: è a causa dei cambiamenti climatici? È il permafrost che fonde, o i ghiacciai che si ritirano? Sono movimenti rocciosi in atto da secoli o migliaia di anni?
Risposte certe non ci sono: come si fa, per esempio, a provare che gli uragani Harvey e Irma non ci sarebbero stati senza i mutamenti climatici, sapendo che il Mar dei Caraibi ne genera ogni anno? Tuttavia, crescente intensità e frequenza di fenomeni naturali catastrofici sono un indizio che vecchi equilibri si stanno spezzando.
 A Bondo, gli abitanti sapevano che prima o poi la montagna sarebbe venuta giù. Ma ora che è successo, in questo comune e anche nel resto della Svizzera, ci si chiede come affrontare il futuro. Se nella frazione bregagliotta dovranno sorgere nuove opere di protezione per ridare alla popolazione un senso di sicurezza, quando finalmente sarà stato possibile rimuovere le rocce e il fango scivolati a valle, in tutti i cantoni di montagna si dovrà osservare con occhio ancora più critico le cartine geologiche, poiché con la fusione dei ghiacciai (in generale, a causa di decompressioni nella roccia) e del permafrost (al di sopra dei 2500 mslm, per frane di limitate dimensioni) il terreno diventa instabile, si smuove, ne possono derivare cadute di massi o smottamenti.
Finora abbiamo vissuto in una fase preliminare dei mutamenti climatici. Ma alcuni segnali fanno temere che stiamo entrando in una nuova fase: secondo ricercatori dell’ETH di Zurigo il ghiacciaio dell’Aletsch è ai livelli più bassi raggiunti durante l’Olocene, ciò che ha grosse conseguenze sui pendii laterali, non più ricoperti dal ghiaccio; in alcuni punti, verso il fondo del ghiacciaio, da un anno a questa parte, la terra si muove di 30 centimetri al giorno – e le masse di terra in movimento sono stimate a 75 milioni di metri cubi.
In sostanza, nei decenni a venire dovrà essere ri-attualizzata costantemente la mappa dei rischi e le autorità dovranno decidere che fare nei luoghi a rischio: investire in costose opere di protezione o dichiararli inabitabili? Di questo a Berna si è da tempo coscienti, Bondo mostra ora a tutti che non si tratta più solo di frane come le abbiamo conosciute in passato.
Un vantaggio, molto elvetico, lo abbiamo: gli edifici sono coperti da assicurazione. Sembra un’ovvietà, ma non lo è: negli Stati USA che si affacciano sul Golfo del Messico, a forte rischio di alluvioni, la società di riassicurazione Swiss Re ha ravvisato in uno studio che molte case private non sono assicurate. In particolare a Houston, che ha già conosciuto alluvioni nel 2015 e nel 2016, in alcuni quartieri solo 1 casa su 6 lo è. E questo nonostante nella metropoli texana il rischio sia cresciuto enormemente da quando gli acquitrini e molti terreni che servivano da sfogo alle acque alluvionali sono stati cementificati. Donald Trump potrà negare che un mutamento climatico sia in atto e affermare che i posti di lavoro valgono più di un clima in equilibrio, gli Stati USA che si affacciano sui Caraibi (ma anche New York è stata ferita da Sandy, 5 anni fa) dovranno comunque fare i conti (salati) con le conseguenze di devastanti uragani e di una pianificazione del territorio sbagliata.
Fazit: i mutamenti climatici metteranno in evidenza anche gli errori urbanistici del passato. In tutto il mondo.

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In relazione al tema generale del post (il clima come acceleratore delle crisi, vedi anche qui), segnalo questo interessante libro e il contributo di uno dei due autori e di oggiscienza.

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