Ghiaccio che cola

Ghiacciaio del Rodano, confronto fra la situazione a fine giugno 2007 (a sx) e quella a fine giugno 2017 (a dx).
Fonte: GletscherVergleiche.ch

L'ondata di caldo tropicale appena conclusa - la terza nella regione alpina in questa infuocata estate e magari nemmeno l'ultima... Update 18/8: facile profezia, la mia, siamo alla quarta, cvd; Update 27/8: quinta!, siamo ai livelli del 2003, come numero di ondate, non come persistenza delle stesse e come punte delle T massime - non ha risparmiato neppure stavolta l'alta montagna. Nel versante sud delle Alpi si sono toccate punte di temperatura massima di 20 gradi a 2000 metri e l'isoterma dello zero è schizzato a 4600 metri. Una caratteristica, quest'ultima (l'isoterma che gravitava vicino ai 5000 metri), tipica delle numerose heatwaves che hanno connotato quasi tutte le estati alpine dell'ultimo decennio (vedi uno dei prossimi post che pubblicherò, vedi anche qui).
Il glaciologo Giovanni Kappenberger - incontrato qualche giorno fa in parete mentre arrampicava sotto un piccolo ghiacciaio della parte meridionale delle Alpi svizzere - ha spiegato che, a fare le spese di estati così calde anche ad alta quota, sono soprattutto i ghiacciai alpini:
è' canicola anche per loro. Giugno è stato micidiale: il caldo ha eliminato troppa neve. Talmente tanta che ora sporge molto ghiaccio. E con il calore attuale c'è un'accelerazione della fusione, perché il ghiaccio è più scuro, assorbe più radiazioni e dunque fonde.
Molti ghiacciai alpini, durante il periodo canicolare, si assottigliano di 10 centimetri al giorno invece dei normali 2-3. Per fare un confronto: uno strato di 10 centimetri di ghiaccio corrisponde a 1 metro di neve polverosa invernale. Ciò significa che attualmente ci vogliono tantissime nevicate invernali per poter recuperare le perdite estive, cosa assai improbabile che si verifichi.

Per es. sul ghiacciaio del Basodino (fra i 2600 e i 3200 mslm), attualmente la parte esposta al ghiaccio è di circa 1/3 del ghiacciaio, mentre la parte ancora ricoperta da neve dell'inverno-primavera scorsi (che, nonostante le apparenze, in quota hanno prodotto buoni apporti: in maggio sul ghiacciaio c'erano ancora quasi 4 metri di neve) è di circa 2/3 ma questa proporzione dovrebbe verificarsi alla fine della stagione dell'ablazione, a fine estate-inizio autunno (tipicamente a fine settembre), quando ricomincia a nevicare in quota e la neve persiste.
Tutto quello che perde da adesso in avanti, fino magari a ottobre inoltrato, è acqua persa, è ghiaccio che se ne va e verrà conteggiato nel bilancio annuo come ritiro
aggiunge il glaciologo. Con estati come quelle degli ultimi decenni (sempre più lunghe e sempre più calde), i ghiacciai hanno oramai il destino segnato e i più piccoli diventeranno ben presto un mero ricordo.
Per ghiacciai come il Basodino, ci sono ancora solamente 15-20 anni di vita, dopodiché quel che rimarrà sarà soltanto un residuo in cima sotto le creste
conclude Kappenberger.

Come si sa, i ghiacciai sono ottimi indicatori di quel che sta cambiando a livello globale dal punto di vista climatico. Rispetto al 1850, sulle Alpi sopravvive oggi solo 1/3 della copertura glaciale totale.


Andamento della copertura glaciale alpina nel corso degli ultimi 165 anni.
Dati aggiornati da un grafico originale provenente da Zemp et al. 2006 e Häberli et al. 2007.
Interessante notare come la situazione attuale sia addirittura peggiore
 della proiezione più pessimistica effettuata allora (linea tratteggiata rossa, corrispondente ad uno scenario di aumento della temperatura  dell'aria nella stagione estiva, fra aprile e settembre, di 5 °C rispetto al trentennio 1971-2000; lo scenario rappresentato dalla linea grigia prevedeva un aumento della temperatura  di "soli" 3 °C rispetto al trentennio 1971-2000).


La fusione glaciale è uno fra gli effetti più vistosi dei mutamenti climatici. La sua portata è globale e ha precise conseguenze sul piano idrologico e della geologia. Sulla sua evoluzione, gli scienziati elaborano ormai da anni previsioni tutt’altro che confortanti.

Con il glaciologo Daniel Farinotti, professore presso il Politecnico federale di Zurigo, facciamo il punto della situazione (vedi video a fine post).
L’estensione del fenomeno è ormai tale per cui solo in un paio di aree del pianeta, entrambe nella catena dell’Himalaya, i ghiacciai stanno meno peggio rispetto ad altre regioni. Ma il dato complessivo evidenzia una fusione su vasta scala. Le nostre proiezioni dicono che fino alla fine del secolo perderemo quasi il 60% della massa globale
spiega l'esperto. Nel mondo quindi, sull’onda del riscaldamento climatico, la maggior parte del volume dei ghiacciai è destinata a scomparire entro il 2100.

La perdita di volume dei ghiacciai svizzeri, in milioni di metri cubi, fra il 2014 e il 2015.
Fonte: GLAMOS

Alle nostre latitudini l’incidenza del fenomeno è tuttavia ben più marcata:
nelle Alpi ciò che noi registriamo a livello di clima risulta sovraproporzionale: perdiamo cioè più ghiaccio rispetto al dato globale. In dipendenza di come il clima si evolverà - e ciò ha a che vedere con quante emissioni causeremo - avremo quindi fra il 60 e l’80%, magari fino al 90% di ghiaccio in meno. Rimarremo quindi con pressoché nulla entro la fine del secolo
aggiunge Farinotti. Intanto l’assottigliamento è già stato considerevole:
nell’arco di un trentennio i ghiacciai svizzeri hanno già perso spessore nella misura di 60 centimetri l’anno. Ma dal 2010 il ritmo di scioglimento è accelerato in misura notevole, determinando una perdita annua pari ad un metro
sottolinea il glaciologo (vedi anche questo recente studio, h/t ocasapiens, che evidenzia l'accelerazione in corso della perdita di massa dei ghiacciai alpini negli ultimi anni).

In continuo calo: dati e stime sull'evoluzione del volume d'acqua accumulata nei ghiacciai svizzeri
(bacini del Rodano e del Reno, Engadina e Ticino). Fonte: SCNAT.

Va quindi inquadrata la relazione fra lo scioglimento dei ghiacciai e il fenomeno del riscaldamento globale:
chiaramente ci sono anche altri fattori che influenzano la risposta dei ghiacciai da un anno all’altro
osserva l’esperto, citando ad esempio quelle fluttuazioni che vanno ricondotte alle condizioni meteorologiche di un particolare periodo. Quanto al riscaldamento globale in sé, altri fattori naturali possono anche incidere, ma pur sempre su una scala intermedia. Per esempio una grande eruzione vulcanica può avere un influsso sul clima globale, ma come sappiamo sul lungo termine ciò non rappresenta il segnale principale.
Il riscaldamento globale è qualcosa che agisce su una lunga scala temporale e qui il collegamento è assolutamente dato. È inequivocabile il fatto che negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un riscaldamento globale al di fuori della norma. Ed è anche ben accertato che una parte non trascurabile di questo fenomeno è dovuta all’effetto antropico, ossia a emissioni causate dagli esseri umani
evidenzia Farinotti.

La fusione dei ghiacciai ha effetti anche sui confini nazionali. La linea spartiacque - che sui ghiacciai a quote molto elevate segna la frontiera - si è infatti spostata durante gli ultimi decenni. Qui il tratto di confine fra Svizzera e Italia sul Furggsattel, in Vallese. Le crocette indicano la frontiera nel 1940, in rosso il nuovo tracciato. Fonte: swisstopo.

Intanto le conseguenze del ritiro dei ghiacciai non si limitano di certo alla sola configurazione del paesaggio. Sul piano delle risorse idriche, anzitutto, le stime indicano che in dipendenza di dove ci troviamo, ci sarà una diminuzione fra il 5% e il 20% dei deflussi.
Un ghiacciaio può essere rappresentato come un enorme serbatoio, con acqua accumulata sotto forma di neve in inverno e rilasciata, dopo lo scioglimento, in estate. Ma a livello stagionale, sull’onda dei mutamenti climatici, prevediamo anche uno spostamento del picco dei deflussi dall’estate alla primavera. Cosa succederà allora nei periodi estivi, che tenderanno anche ad essere periodi più secchi?
si chiede il glaciologo. A questo interrogativo sono legate non poche preoccupazioni.

Altre preoccupazioni concernono invece gli impianti idroelettrici che sfruttano soprattutto la massa idrica proveniente dai ghiacciai:
ci aspettiamo che questi bacini avranno meno acqua a disposizione e, quindi, anche una minore capacità di produzione idroelettrica
aggiunge il glaciologo dell'ETHZ. Inoltre, i cambiamenti nel regime dei deflussi implicheranno modifiche agli schemi annuali di produzione delle centrali.
Ma un’incognita di peso è legata a quelle masse di detriti che rimarranno scoperte dopo lo scioglimento dei ghiacci e che, una volta in movimento, potranno portare ad una sedimentazione dei bacini idroelettrici.
Su questo scenario non disponiamo ancora di stime precise. È un problema che si inizia a scorgere e che non si sa esattamente quanto grave potrà diventare
sottolinea Farinotti. Un aspetto, quest’ultimo, che ci consente di approfondire un altro versante cruciale del problema, ossia il legame fra la fusione dei ghiacciai e quei processi che possono magari sfociare in un dissesto idrogeologico:
si può immaginare che lo stesso volume del ghiaccio abbia un effetto sui pendii circostanti. Quindi, se si scioglie un ghiacciaio, non c’è più una controforza a questi pendii, che possono così essere messi in movimento
osserva l’esperto.


Sopra la Riederalp in Vallese, sulla cresta del Moosfluh, una vasta zona è soggetta a scivolamento in direzione del ghiacciaio dell'Aletsch. I pendii sono diventati instabili a causa della fusione del ghiacciaio, ormai inarrestabile per via del GW. L'area interessata dallo scivolamento si estende su una superficie di 2 km^2,  pari a circa 250 campi da calcio, con una lunghezza di circa 300 metri e un'apertura fino a 20 metri. Le masse rocciose che scivolano, lente o veloci, hanno un volume complessivo di almeno 150 milioni di metri cubi, che corrisponde a circa 190'000 case unifamiliari.
Ma tale problema si estende più in generale a tutta la cosiddetta criosfera: dal permafrost fino ai terreni innevati. La neve, ad esempio, è ora presente per un diverso numero di giorni su differenti aree. Quindi anche l’intergioco fra lo scioglimento della neve, la saturazione del suolo e la sua stabilità porta a degli smottamenti che prima non si vedevano.


Parliamo ora di tecnologia: in che misura potrebbe contribuire a rallentare lo scioglimento dei ghiacciai?
Mostra efficacia il ricorso ad apposite coperture per respingere la radiazione solare e frenare in tal modo lo scioglimento. Ma è ovvio che una soluzione di questo tipo trova applicazione solo localmente e con effetti limitati
spiega Farinotti.

Posa di appositi teloni protettivi per rallentare il ritiro dei ghiacciai

Sono quindi allo studio anche le possibilità legate ad un innevamento artificiale dei ghiacciai. Ma su questo punto l'esperto dell'ETHZ cita gli esiti, piuttosto eloquenti, di una stima sull'ipotetico uso di cannoni da neve per preservare una piccola porzione di ghiacciaio:
per una superficie di appena mezzo chilometro quadrato, occorrerebbero più o meno 4000 cannoni continuamente in funzione
osserva Farinotti, sottolineando tutti gli oneri che ne deriverebbero in termini di acqua, di energia, di acquisto e manutenzione degli stessi cannoni da neve.
Scenari non certo realistici, per quella che naturalmente è solo una simulazione. Essa, tuttavia, è utile per avere un’idea sull’impatto dei mutamenti climatici e su quale sforzo occorrerebbe solo per mantenere un ghiacciaio nella sua posizione odierna.
E ciò senza coprire nulla di tutti gli altri aspetti citati prima: gli effetti sulle risorse idriche, sull’energia idroelettrica, sullo smottamento dei pendii…È molto interessante per capire quale sia la dimensione del fenomeno
conclude il glaciologo.
Un fenomeno che sta cancellando qualcosa che ha impiegato secoli e millenni a formarsi su scala planetaria. E che ora sta scomparendo a ritmo accelerato e con ripercussioni considerevoli per tutto l’ambiente naturale.

 






Commenti

Post popolari in questo blog

SYS 64738

Brodo oceanico