Millennium III - Confronti

Gerald Meehl @ NCAR
Mentre stasera sto scrivendo questo post ascoltando in cuffia un classico del folk recente che riscalda gli animi, il freddo che avverto mi spinge ad aumentare di una tacca la potenza della stufa che riscalda il locale. Sarà sufficiente per riscaldare un po' di più la stanza? Dopo breve riflessione, concludo che no, non lo sarà dal momento che oggi a mezzogiorno il locale era più caldo rispetto a quanto non lo sia adesso dopo aver aumentato la potenza del radiatore. E settimana scorsa lo è stato ancora di più, per non parlare di sei mesi fa.
Intanto la stanza si scalda. E perciò,  concludo, l'aumento di temperatura potrebbe semplicemente avere avuto origini naturali.

Trasformate metaforicamente il radiatore in un gas serra come la CO2 e avrete la classica fallacia logica che connota lo schema di ragionamento di chi invoca o si focalizza sui livelli degli incrementi termici del passato (Medioevo, ottimo olocenico, ultimo interglaciale,...) come dimostrazione o rifiuto del possibile effetto che l'accumulo di gas serra eserciterebbe sulle temperature odierne. Se ne parla anche nel recente post su climalteranti.

Alcuni pensano che se il Medioevo è stato più caldo di oggi, questo semplicemente e da solo basterebbe per escludere qualsiasi effetto derivato dall'accumulo di gas serra di origine antropica. E, come mostra l'esempio sopra, questo è un classico sillogismo fallace, un po' come l'assurdo esempio degli asini volanti.
Certo, anche usare i livelli relativi delle temperature medievali rispetto a quelli odierni come prova provata dell'influsso antropico sul GW appare, per converso, altrettanto fallace. Perché gli effetti della CO2 antropica possono solo essere accertati temporalmente comparando due situazioni che differiscono solo nei loro livelli di concentrazione del gas serra ma che al contempo siano le più simili possibili nelle altre condizioni di contorno. Come si sa da tempo, la cosa è possibile senza ricostruire fisicamente un altro pianeta mediante i modelli di simulazione numerica, pur con tutti i loro limiti. Due momenti temporalmente lontani (come oggi e 1000 anni fa) potrebbero differire non soltanto nelle concentrazioni di CO2 presenti nelle loro atmosfere, ma parecchi altri fattori potrebbero pure essere stati differenti: per es. quanto ne sappiamo sull'energia sprigionata dal sole? E su frequenza e intensità delle eruzioni vulcaniche? Ci vengono incontro, ovviamente, le ricostruzioni effettuate mediante analisi di dati proxy, ma bastano?

Non sappiamo ancora bene cosa abbia specificamente generato l'ultimo periodo di caldo antecedente quello odierno iniziato grossomodo un secolo fa: mi riferisco ovviamente al periodo caduto grossomodo in pieno Medioevo (MWP), probabilmente meno omogeneo, esteso nel tempo e nello spazio rispetto a quello odierno (emisfero nord? target euro-atlantico? focus attorno ai primi due secoli del millennio?) e accompagnato da alcune importanti anomalie climatiche di carattere anche extra-termico - inferite indirettamente mediante dati proxy - in alcune specifiche aree come ad es. il Pacifico o alcune regioni delle Americhe, tanto da definirlo anche come anomalia climatica medievale (MCA). Non sappiamo se su questa anomalia  - su scala temporale plurisecolare - abbia agito una forzante climatica esterna, più forzanti contemporaneamente oppure sia frutto della sola variabilità interna o molto più probabilmente un mix delle due cose.
Entrambe le possibilità aprirebbero ulteriori questioni e campi di indagine: se l'anomalia climatica medievale fu prevalentemente forzata, quanto fu forte il forcing radiativo che agì e di che tipo (sole, vulcani)? Se fu quello solare, come spiegare l'apparente lag temporale fra il picco termico della serie ricostruita (attorno all'undicesimo secolo) e quello della presunta forzante solare che cade più di un secolo dopo? Questo, fra l'altro, emerge anche dalla relativa incoerenza fra le ricostruzioni termiche generate dai GCM improntati sui forcing esterni conosciuti e quel che ci dicono le più recenti e robuste ricostruzioni paleo, perché nel primo caso il picco termico risulta verificarsi più di un secolo dopo rispetto all'ensemble dei dati vicarianti.
Se, invece, l'anomalia medievale fu, in prevalenza, generata internamente al sistema climatico, quanto a lungo durò? Che tipo di struttura o di pattern spaziale generò? Quale prevalente modo di variabilità (ENSO, NAO, ...) ebbe il sopravvento?

Ne sappiamo un po' di più per periodi più vicini a noi, per es. per la piccola era glaciale (LIA, su cui ci torneremo), ma capire cosa abbia provocato il MWP/MCA (a prescindere dalla sua dimensione spazio-temporale) rimane a tutt'oggi una sfida appassionante e importante. Certo, ci sono ipotesi abbastanza precise: si ipotizza con discreta approssimazione cosa abbia potuto contribuirvi, ma ancora mancano diversi tasselli. Questo, attualmente, è uno dei campi di indagine più affascinanti e stimolanti che riguardano la ricostruzione climatica del recente periodo olocenico e la possibile comparazione con il clima odierno, perché ovviamente ha assai più senso farlo con un periodo – quello medievale – che ebbe condizioni al contorno, in termini di forzanti esterne – segnatamente quelle orbitali –, assai più simili alle nostre, rispetto per es. all’ottimo olocenico (figuriamoci, poi, all’ultimo interglaciale…). A meno, ovviamente, di soppesare per bene le varie condizioni forzanti al contorno; e questo a condizione di conoscerne bene natura e soprattutto intensità (vedi ad es. qui, quiqui o qui).

Per es. una delle ipotesi più “innovative” riguarderebbe il fatto che forse la particolarità non va cercata tanto nel MWP/MCA quanto nella susseguente LIA, che fu probabilmente innescata da forti e frequenti eruzioni vulcaniche a partire dalla metà del XIII secolo e dagli associati feedback con la risposta relativa della variabilità interna. Se così fosse, allora aumenterebbe la probabilità che il segnale causato dall’incremento dei gas serra cominci ad emergere solo recentemente, avendo buona parte del XX secolo molte più analogie, in termini di forcing radiativi, con una parte del MWP/MCA rispetto a buona parte della LIA. Cosa che sarebbe completamente da escludere, invece, in caso il MWP/MCA sia stato indotto principalmente dalla variabilità interna.
Ma non tutti concordano con questa linea ipotetica (vedi anche qui): anche se graduale, meno importante rispetto alla scala plurimillenaria e prevalentemente emisferico-regionale (perché coinvolgente principalmente le alte latitudini boreali estive), una condizione orbitale al contorno comunque abbastanza importante segna una differenza fra oggi e ieri, perché il forcing dato dalla precessione del perielio sta gradualmente spingendo la radiazione globale estiva a nord del 65esimo parallelo N dal massimo di alcune migliaia di anni fa (quando, a metà Olocene, il perielio avveniva a luglio) verso il minimo del lungo ciclo. Onde per cui, in questo caso, per spiegare l'incremento termico iniziato alla fine della LIA e l'impennata degli ultimi decenni (nell'Artico particolarmente forte, come sappiamo) assumerebbero invece maggior importanza altre forzanti come l'accumulo di gas serra, oltre che il land use change.

Che la LIA sia davvero qualcosa di anomalo, nel contesto dell'intero Olocene, non ci piove: fu il periodo climaticamente più freddo del periodo, per quanto se ne può sapere attraverso ricostruzioni paleoclimatiche. Che il MWP/MCA sia stato altrettanto anomalo ci può anche stare, essendo stato uno dei picchi termici (ma non un estremo, come la LIA), perlomeno emisferici pur se poco omogeneo rispetto a quello odierno, dopo l'ottimo che diede inizio al periodo olocenico. E questo in un contesto di relativa stabilità generale.

Siamo oggi fuori dal range della variabilità climatica "normale" dell'ultimo millennio? A questa domanda, la comunità scientifica che ci occupa di detenzione - mediante il confronto fra le ricostruzioni paleo e l'andamento odierno -  e di attribuzione - mediante l'analisi delle cause - tende a dare una risposta affermativa. Ma scartare un'ipotesi nulla come quella della variazione "normale" del clima sull'arco di un tempo comparabile come l'ultimo millennio, richiede giocoforza continue e robuste indagini a partire da quello che dalle geoscienze e dalla fisica di base che le sostanzia siamo in grado di distillare.

Un recente lavoro appena pubblicato su Nature contribuisce ad irrobustire questo tipo di indagine. Lavoro che, per quel che riguarda il MWP/MCA, connette - come auspicato - fattori esterni e variabilità interna, con i primi a fungere da "metronomi" della seconda (via ENSO) e dando il (più) giusto peso a quest'ultima. Gli autori hanno usato un modello di simulazione per indagare come la distribuzione globale delle precipitazioni risponda a forzanti esterne di natura diversa e hanno scoperto che quando a forzare i flussi di energia e il relativo sbilancio radiativo è prevalentemente l'accumulo dei gas serra (come nelle condizioni climatiche odierne) le precipitazioni aumentano meno nonostante un riscaldamento superiore, rispetto a quando a guidare i flussi di energia e il relativo sbilancio radiativo sono (stati) prevalentemente forcing naturali quali irradianza solare (in primis) e eruzioni vulcaniche, come emerge dalle ricostruzioni paleoclimatiche relative al periodo medievale.
Come segnala l'attento Riccardo nell'assist fornito sul post dell'oca qui, una implicazione importante e collaterale di questo lavoro risiede nel fatto che nel caso delle forzanti naturali  il feedback negativo che un'atmosfera stratificata come quella terrestre mette in gioco nella prima decina di km per mantenere l'equilibrio convettivo (cioè il gradiente termico verticale) si rafforzi e questo, oltre a destabilizzare maggiormente l'atmosfera, se non intervengono altri meccanismi a compensarlo significa pure che la sensibilità climatica sarebbe stata maggiore rispetto a quella odierna.

Liu et al. 2013

Gli autori hanno esaminato i cambiamenti delle precipitazioni globali nell'ultimo millennio e le proiezioni per la fine del 21esimo secolo, comparando le variazioni naturali indotte dall'irradianza solare e dal vulcanismo con le modifiche delle emissioni di gas serra di origine antropica. Usando un modello climatico accoppiato oceano-atmosfera (AOGCM) che simula realisticamente entrambe le condizioni climatiche del passato e di oggi, gli scienziati hanno scoperto che per ogni aumento di un grado della temperatura globale, il tasso globale di precipitazioni dopo la Rivoluzione industriale è aumentato di meno del 40% rispetto a passate fasi di riscaldamento della terra. E questo sarebbe imputabile al modo in cui la principale sorgente di variabilità interna reagirebbe a queste condizioni esterne differenti: l'ENSO. Questo affascinante fenomeno, come sappiamo, è un processo dinamico in continua evoluzione coinvolgente ritmicamente oceano e atmosfera del Pacifico tropicale, che qui più che altrove tendono a viaggiare accoppiati come in un lento tango che si consuma sull'onda degli anni e delle stagioni, generando ripercussioni anche a distanza. Il fenomeno fa sì che quando il Pacifico si trovi nello stato di El Nino, il gradiente longitudinale delle temperature marine superficiali (SST) del bacino oceanico, fra oriente e occidente, tenda ad indebolirsi, mentre tende a rafforzarsi in presenza di un Pacifico in stato di La Nina. Il perché è presto detto: al primo caso si associano alisei indeboliti mentre nel caso opposto gli alisei si rinforzano.

Quando il mare è a temperatura normale, gli alisei soffiano con intensità e,“raschiando” lo strato marino superficiale più caldo e ammassando grandi quantità di acqua sul bordo occidentale dell’oceano (dove il livello del mare è circa mezzo metro più alto di quello orientale), creano una tensione capace di mantenere il dislivello e impedire che l’acqua rifluisca verso le coste peruviane, in un meccanismo circolare in cui essi stessi determinano la temperatura dalla quale sono influenzati. Gli alisei spingono talmente tanta acqua calda verso l’Indonesia che, mentre l’accumulano ad occidente, riescono a risucchiarne di fredda a oriente richiamandola dagli abissi e realizzando così una delle rare occasioni di mescolamento tra le acque profonde e quelle superficiali.
Quando subentra El Nino l'indebolimento associato degli alisei riduce il campo di tensione finché l'equilibrio si spezza e l'acqua più calda affluisce gradualmente verso est non riuscendo più ad essere tenuta "a debita distanza" ed accumulata a occidente. Il gradiente si riduce. Quando invece subentra La Nina, la catena di cause ed effetti si rovescia: il rafforzamento associato degli alisei aumenta il campo di tensione e l'acqua più calda viene spinta ulteriormente verso ovest laddove tende ad essere accumulata e a sprofondare il termoclino. Il gradiente si rinforza.
Fra le conseguenze dell'indebolimento del gradiente est-ovest delle SST (stato di El Nino) il modello suggerisce una diminuzione delle precipitazioni, in particolare sulla terraferma tropicale e il contrario quando invece aumenta (stato di La Nina) e la cosa è corroborata anche da evidenze osservative.

Una domanda sorge spontanea: come mai un forcing radiativo di natura diversa come quello generato dai gas serra e quello prodotto dal mix fra sole e vulcanismo è in grado di influenzare il gradiente delle SST del Pacifico tropicale in maniera così differente?

Ad un importante meeting di qualche anno fa a cui ho partecipato, era emersa una lunga discussione fra alcuni climatologi circa l'incertezza riguardo alla risposta futura che un clima più caldo generato da un forcing da maggior CO2 avrebbe potuto indurre sulle SST del Pacifico tropicale. Fu una delle discussioni più stimolanti di quel meeting, e in particolare coinvolse Gabe Vecchi (GFDL), Kevin Trenberth (NCAR) , Prashant Sardeshmukh (CIRES-NOAA) e Gilbert Compo (NOAA), con i primi a sostenere che la cella di Walker si sarebbe indebolita favorendo una risposta di questa importante sorgente di variabilità interna maggiormente Nino-like e i secondi a sostenere il contrario. La questione di fondo era la seguente: qual è la risposta che ci si attende con maggior probabilità da parte della zona tropicale nel futuro clima più caldo? Che tipo di modalità tenderà ad assumere il sistema oceano-atmosfera, specificamene nell'importante area pacifica?

fonte
Due, come detto, le ipotesi di lavoro: i modelli improntati maggiormente sui vincoli di natura oceanica e con una rappresentazione semplificata della fisica atmosferica (per es. qui, qui e qui) generavano una risposta prevalentemente Nina-like, a causa del previsto incremento della stratificazione dell'oceano tropicale con conseguente più lento riscaldamento delle zone di risalita delle fredde acque profonde (vedi sopra) rispetto alle altre aree oceaniche e associato Bjerknes feedback (vedi figura a dx).
Gabriel Vecchi @ UCAR
Invece i modelli improntati maggiormente sui vincoli di natura termodinamica atmosferica e con una rappresentazione semplificata delle condizioni oceaniche (per es. qui, qui, qui e qui) generavano una risposta prevalentemente Nino-like (sebbene i meccanismi in gioco differiscano un po' da quelli che generano un Pacifico in stato di classico El Nino), a causa della prevista riduzione della forza della circolazione atmosferica di rovesciamento longitudinale (vedi fig. sopra a sx), che si manifesta principalmente nella componente zonale asimmetrica (cella di Walker).
Le evidenze osservative del gradiente zonale della pressione atmosferica al suolo (e di altri elementi), sull'arco del 20esimo secolo, mostrano effettivamente un graduale indebolimento della circolazione di Walker sul Pacifico, soprattutto durante le primavere e le estati boreali, anche se recentemente il trend sembra essersi invertito. Tuttavia le diverse  ricostruzioni delle SST appaiono inadeguate per distinguere chiaramente un segnale che mostri un chiaro trend per quel che riguarda il gradiente est-ovest delle SST lungo il bacino. A meno di rimuovere specificamente, con tecniche appropriate il noise alle variazioni generato dal segnale fluttuante interannuale dell'ENSO o confidare su quel che ci sanno dire i dati proxy del più lontano passato.


Meehl et al. 2008
Nel frattempo sono stati pubblicati altri importanti lavori, come questo recente che attribuisce un peso maggiore alla variabilità interna oceanica per quel che riguarda l'indebolimento della circolazione di Walker; poi questo di Mann et al. sulla ricostruzione dei forcing naturali che hanno agito sul Pacifico nell'ultimo millennio, come quello di Clara Deser et al. sullo stato futuro delle SST tropicali forzate dall'accumulo di gas serra e soprattutto (qui, qui e soprattutto qui) gli interessanti lavori di (fra gli altri) Gerald Meehl (NCAR) – con il contributo di un vero e proprio "mostro sacro" che ancora fa ricerca alla sua veneranda età: Harry van Loon (NCAR), un pioniere degli studi sul Pacifico – che hanno messo in risalto il modo in cui il forcing solare agisce sullo stato del Pacifico, vedi immagine qui a fianco.
La maggior radiazione solare riscalda la superficie terrestre, aumentando l'usuale differenza di temperatura tra la superficie e il top dell'atmosfera senza indebolire gli alisei, anche se su quest'ultimo aspetto i precedenti studi citati non concordano (vedi immagine). Il risultato è che il riscaldamento avviene nella parte occidentale del Pacifico, mentre quella orientale rimane fredda a causa del meccanismo di risalita di acque profonde e di rimescolamento spiegato sopra.



Un aggiunta in atmosfera di gas a struttura molecolare pluri-atomica in grado di assorbire radiazione infrarossa diminuisce, invece, la usuale differenza di temperatura fra superficie e top dell'atmosfera, rendendo quest'ultima un po' più stabile e questa maggior stabilità tende ad indebolire gli alisei con il risultato già descritto sopra che il riscaldamento più forte avviene stavolta nella parte orientale del Pacifico rispetto a quella occidentale. Curiosamente, per la stessa ragione, anche un aumento del vulcanismo tenderebbe a ridurre il gradiente selle SST fra i due estremi del bacino oceanico.


I dubbi? A parte le ancora notevoli incertezze riguardo alla risposta climatica inerente i flussi di acqua in atmosfera in un clima presente e futuro il cui sbilancio radiativo sia forzato dall'accumulo di gas serra (al netto del possibile influsso indiretto da parte degli aerosol), direi che val la pena qui evidenziare quelli relativi al passato, partendo dalla premessa (tutt'altro che evidente) che quel periodo sia stato piuttosto omogeneo dal punto di vista temporale.

Innanzitutto segnalerei l'incertezza che risulta dal confronto fra due variabili indipendenti come il segnale climatico e quello solare (per il caso del MWP/MCA), entrambi a loro volta inferiti mediante ricostruzioni proxy. Ma è il meglio e forse anche quasi il solo metodo che abbiamo a disposizione.
E poi alcune questioni ancora aperte circa il pattern medievale che le forzanti naturali (col sole in primis, ma non solo!) modulerebbero attraverso il gradiente termico delle acque superficiali del Pacifico tropicale. Questa configurazione è corroborata da numerose recenti ricostruzioni, ma indicherebbe un MWP/MCA tutt'altro che globale e la cui eterogenea estensione spaziale sarebbe molto diversa rispetto all'odierna fase calda. Non si potrebbe quindi più nemmeno definirlo MWP, come già detto ad es. qui.

In questo senso, reputo che questo lavoro, pur con tutte le incertezze del caso, fornisca un ottimo tassello in più, perché finora la maggior parte dei GCM tarati su quello che si riteneva fossero le cause esterne più probabili (e ignorando prima e sottovalutando poi il peso della variabilità interna) tendevano a riprodurre un pattern maggiormente omogeneo.

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Update: consiglio questo numero speciale della rivista del progetto Pages dedicato alla MCA e - per la scala regionale alpina -  l'ultimo numero di Nimbus, interamente dedicato al progetto "Archlim" (ricostruzione del clima medievale da fonti documentarie in area alpino-padana) con conferenza di presentazione il prossimo 28 marzo a Torino (fra gli altri c'è anche  Luca Mercalli).

Commenti

  1. Grazie per la citazione, in realtà un'idea infondata più che altro. Dietro c'è una mia sostanziale "insoddisfazione" per l'approssimazione di sensitività climatica costante e uguale per tutti i forcing. Può andare bene in prima battuta e per variazioni limitate, come se fosse il primo termine di un'espansione in serie. Non vedo però nessuna ragione per cui debba funzionare su scala più ampia; anzi, sono sorpreso di quanto bene sembra funzionare con gli andamenti generali dei cicli delle glaciazioni.
    Ma quando si arriva, come si inizia a fare, ai dettagli o a forcing molto intensi e diversi fra loro, sono convinto che andrà abbandonata. Delle indicazioni ci sono già se si guarda all'intera serie dei cicli glaciali e pensa anche alla discussione che citavi sulla risposta delle SST del Pacifico tropicale al forcing della CO2. Le due ipotesi causano una un maggiore rimescolmento delle acque dell'oceano e l'altra una maggiore stratificazione. Problabilmente produrrebbero una differenza significativa nella sensitività, almeno nel medio termine.

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    1. Pienamente d'accordo con quanto dici. In aggiunta a ciò, pensa solo a distribuzione e variazione geografica del lapse rate, dell'umidità relativa e della nuvolosità con associati effetti di riflessione/albedo e assorbimento infrarosso.
      C'è da lavorare ancora parecchio sulla sensibilità climatica, anche se sono sempre convinto che, in generale, oltre a certi livelli la distribuzione di probabilità cali bruscamente (per ragioni di ricostruzione paleoclimatica e di implicazioni in gioco ma pure per ragioni di natura fisica, obv.).
      La relativa novità starebbe nel fatto che forse la caduta della pdf possa essere un po' più brusca nel limite superiore (≥ 4.5°C), rispetto a quello inferiore (≤ 2°C). Vedo se riesco a contattare Reto Knutti, magari si può sortire un guest post tradotto...

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