Mer_de...glace I - Imja


Che bello quando c'era il "mare di ghiaccio".
L'immagine romantica dal Monte Bianco, ci rimanda ad un'epoca climaticamente molto diversa da quella odierna, connotata da recessione glaciale come conseguenza degli effetti climatici indotti dal GW. Consideriamo, inoltre, che un apparato glaciale non è quasi mai in equilibrio con le condizioni climatiche del momento, visti i lagtimes pluriennali che i ghiacciai mostrano rispetto a queste condizioni, a causa del fatto che ad incidere su avanzata o ritiro delle loro lingue (ma ovviamente anche sullo spessore) è il protrarsi di uno stesso tipo di bilancio di massa e di energia (positivo, neutro o negativo) a parità di condizioni ambientali (per es. di accumuli residui a fine stagione), climatiche di riferimento (in relazione alla sensibilità dei ghiacciai alle temperature e/o alle precipitazioni in condizioni climatiche diverse e opposte) e anche morfologiche. Senza dimenticare che il tempo di risposta di un ghiacciaio alle condizioni climatiche differisce anche parecchio se si tratta di risposta in avanzata o in ritiro. Ma su questi aspetti ci torneremo più avanti.


Intanto, MS apre un nuovo ciclo dedicato ai ghiacciai del mondo e al loro generale e accelerante degrado. Spazieremo dalle Alpi (di cui qualcosa viene riportato anche nel ciclo "Alpi nel tempo") alle Ande, dalla Scandinavia alle Rockies, dalla Groenlandia all'Himalaya.

E proprio dalla catena più alta del mondo iniziamo con questo breve post, dedicato al ghiacciaio Imja, nel Nepal orientale.

Ci facciamo aiutare sia da Mauri Pelto (expertise nel ramo) sia da Giovanni Kappenberger, noto glaciologo (per anni collaboratore a Meteosvizzera) nonché persona squisita e poliedrica, attivissimo nella divulgazione delle tematiche nivometeorologiche (si occupa da anni dei bilanci di massa di alcuni ghiacciai svizzeri, come il Basodino o il Clariden) e grande conoscitore della situazione glaciale globale (ha partecipato a spedizioni alpinistico-scientifiche in Artide, nelle Ande e nell'Himalaya). Soprattutto conosce bene, oltre alla situazione delle Alpi, quella himalayana: nell'autunno del 2006 ha seguito un trekking nella zona dell'Everest, per rifare dopo 50 anni, le foto dei ghiacciai ripresi dal prof. Fritz Müller, membro della spedizione svizzera all'Everest del 1956.

Proprio da qui partiamo con questa prima puntata: per l'occasione MS cambia anche sfondo e si adegua con una foto delle cime himalayane dell'Ama Dablam, nel Khumbu nepalese.
Focus della nostra prima puntata è, come detto, il ghiacciaio dell'Imja, nella catena himalayana del Khumbu in Nepal orientale, a sudest dell'Everest.

Vediamo l'imponente ritiro confrontando due foto scattate nel 1956 (foto di Müller) e nel 2006 (foto di Kappenberger). Se ne parla anche in questo articolo del Guardian.
Il ghiacciaio fluisce a meridione verso il lago glaciale Imja Tsho, formatosi negli ultimi 50 anni a causa del ritiro e della fusione glaciale e in continua espansione.
Guardate questa collezione di foto satellitari fra il 1962 e il 2008 elaborata dall'ICIMOD:


Anche in questa parte del mondo - come in molte altre parti, ad es. nelle Alpi - ghiacciai come questo stanno accelerando il loro ritiro. L'Imja ha perso più di 2 km negli ultimi 50 anni, con un rateo di diminuzione in lunghezza di 41 metri all'anno nei primi 40 e quasi del doppio (74 metri all'anno fra il 2001 e il 2006) in seguito (vedi qui). Il fronte finisce oggi nel lago in espansione, abbondantemente ricoperto da detriti.

In generale, tutti i 22 ghiacciai che ricoprono il bacino del Dudh Khosi si stanno ritirando da metà anni 70, con ratei di ritiro del fronte fra i 10 e i 60 m annui. Il vicino Khumbu si sta ritirando a ritmi un po' meno rapidi: la sua lunghezza si riduce di 15-20 m all'anno.

Come tutti i suoi vicini, anche l'Imja può essere diviso in 3 sezioni chiave, ognuna con un impatto del bilancio di massa e una sensibilità climatica differente:

1) la zona ricoperta da detriti, che rappresenta oggi circa il 35-40% della sua superficie totale, quella più bassa. La copertura da parte dei detriti favorisce la fusione in quella minima parte dell'area nella quale la copertura è sottile; ma nella maggior parte dell'area la copertura detritica è spessa abbastanza da isolare il ghiacciaio e ridurre la fusione. Valanghe originate dalle ripide pareti rocciose ricoperte da neve, portano questi detriti sul ghiacciaio e si accumulano sulla sua superficie, rendendo assolutamente trascurabile gli impatti della deposizione di fuliggine (aerosol molto presente in queste regioni dell'Asia, anche a questa quota).

2) la zona di transizione, situata fra la precedente e quella dell'accumulo di neve secca. Racchiude la quota di nevi perenni, situata a circa 5500 m qui. Questa è la zona di ghiaccio nudo e neve che subisce la maggior fusione e può subire anche gli impatti della fuliggine. Rappresenta il 15-20% della superficie totale.

3) la zona di accumulo, zona con prevalenza di neve secca al di sopra dei 5800 m della perenne copertura nevosa. Neve secca indica mancanza di fusione: un aspetto unico caratteristico dei ghiacciai himalayani del versante meridionale della catena è il fatto che la stagione dell'ablazione coincide con la principale stagione degli accumuli dovuta al monsone estivo. Il monsone estivo provoca nevicate quasi ogni giorno da giugno ad agosto al di sopra dei 5800 m. La neve nuova impedisce al ghiacciaio, in questa zona e a questa quota, di essere sensibile agli effetti della deposizione di fuliggine.

Nell'immagine sottostante la zona ricoperta di detriti (1) è delineata in viola, il limite delle nevi perenni della zona 2 è marcato in verde chiaro, le aree di accumulo (zona 3) sono contorniate di blu e in tutta la zona di alimentazione il ghiacciaio ha un contorno verde scuro.

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