Zenzero...

Post culinario in tre puntate in omaggio a tre climatologi che recentemente ho avuto occasione di seguire - chi direttamente e chi indirettamente - e che, a loro modo, contribuiscono al dibattito generale sul tema dei cambiamenti climatici e in particolare sul presunto disaccordo in atto sia fra gli attori della ricerca scientifica e la società in generale e sia all'interno della comunità scientifica stessa.

L'idea della metafora culinaria è cominciata ad affiorare settimana scorsa a Zurigo mentre, dopo aver seguito il primo dei 3 protagonisti del post ad una conferenza e per citazione e associazione anche alcuni excerpts polemici del secondo, mi sono recato in un ristorante cittadino per una cena indiana.
L'altra sera, poi, al festival Chiassoletteraria, ho avuto occasione si cenare con il terzo personaggio del post (che, come ospite della rassegna, avrebbe poi parlato in una conferenza il mattino seguente) nell'ambito del gustoso ed accattivante programma "A cena con...".

Tema ricorrente:

c'è davvero un sostanziale disaccordo sui cambiamenti climatici? Se sì (come parrebbe il caso), in che ambito? Con che conseguenze e per quali motivi?

Come dire: non proprio una domandina da quiz seriale. Piuttosto, una serie di spezie che cercano di ravvivare gli ingredienti della ricetta climatica in transeunte preparazione.

Bene, pronti con gli ingredienti della vostra ricetta immaginaria? Ok, allora sotto con le spezie e con il primo ospite ai fornelli.

Zenzero

Una spezia che mi piace, la trovo stimolante e anche dissetante (mitico lo sciroppo di ginger ;-P) e ci sono alcuni tipi di sushi che senza il zingiber caramellato perderebbero parecchio della loro succosa specificità. Non adoro particolarmente, però, un suo impiego ad ampio raggio. Facilmente, se ne abuso, mi stufa.
Un po' come sentire, su uno specifico argomento di natura scientifica, una voce di pertinente critica costruttiva a metà strada fra la dissidenza anti-consensum e l'approccio popperiano. Utile e direi quasi imprescindibile per andar avanti (sia nell'esplorazione culinaria sia in quella scientifica) ma appunto da non abusare, pena l'omologazione del gusto e, parallelamente, l'accanimento simil-complottista e le associate sensazioni di rigetto.

Mike Hulme, direttore e fondatore del britannico Tyndall Centre for Climate Change Research , è anche un noto e apprezzato geografo e modellista nonché professore di cambiamenti climatici alla Scuola di Scienze Ambientali dell''Università dell'East Anglia.
Ex contributor dell'IPCC, proprio sull'evoluzione degli scenari di emissione considerati nei 4 rapporti dell'IPCC, recentemente, ha pubblicato con altri autori un paper di disamina; concludendo che, nel tempo, c'è stato un significativo rafforzamento di credibilità e di legittimità a fronte però di un indebolimento di salienza (soprattutto, ci dice il paper, a causa dell'alto numero di scenari di base che limitano ed indeboliscono la loro applicabilità più ampia).

Qualche giorno fa è stato ospite dei Kolloquium Atmos. & Klima dello IAC dell'ETH di Zurigo. In quell'occasione ha parlato di uno dei suoi recenti temi, esposti in questo suo discusso libro. Il tema è quello, come già segnalato, del disaccordo sui cambiamenti climatici. Quasi tutta la conferenza è riassumibile dall'abstract del suo libro, con qualche divagazione supplementare (ha ricordato velocemente anche le conclusioni della disamina sugli scenari di emissione considerati dai rapporti dell'IPCC citata sopra).

In sostanza, Hulme si chiede quale sia l'ambito e il motivo del disaccordo sui cambiamenti climatici che - secondo lui - oggi è un tema dominante dell'intera società. Senza mezzi termini, afferma che tutti lo siamo: e non perché disinformati, dazed & confused o distorti da interessi di varia natura che ci fanno rimuovere e non vedere quel che è scomodo, o influenzati da prezzolati e ammiccanti negazionisti à la page in primetime. Il suo è un punto di vista maggiormente antropologico e storico: l'idea stessa del cambiamento climatico significa, per Hulme, diverse cose per diverse persone in diversi contesti, posti e relazioni.
Non l'"anything goes" feyerabendiano: ma lui guarda ad es. a come i media, la società, la psicologia, la religione, i miti ... tendano ad influenzare la percezione e l'attribuzione di valore al fenomeno.
Conclude - dopo una rapida categorizzazione delle principali "ways of life" che filtrano e influenzano oggi la percezione comune del cambiamento climatico (corrispondenti a fatalismo, gerarchismo, individualismo e egualitarismo) - con un auspicio: l'idea del cambiamento climatico dovrebbe essere usata per ripensare e rinegoziare i nostri più ampi scopi sociali a proposito del come e del perché viviamo su questo pianeta.
Ecumenismo a parte, un po' quel che già asseriva nel suo personal statement sulle 5 lezioni da trarre dal climate change.

Hulme - ospite di uno degli istituti di fisica dell'atmosfera e di climatologia più importanti e rinomati nel mondo extra-statunitense e in un paese nel quale il dibattito su molti argomenti ad ignorantiam, quali i dubbi posti dal GW, è finito nel secolo scorso e oggi il focus è decisamente orientato alle soluzioni - si è però guardato bene da attingere argomenti da questo recentissimo paper pubblicato dal panel che lo vede coinvolto nel "gruppo eclettico di accademici, analisti e strateghi della politica energetica" preoccupati dal fatto che "il framing attuale del cambiamento climatico e la politica climatica ci abbiano legato le mani". Una specie di mosaico programmatico ad hoc elaborato per orientare futuri attori nel neuromarketing.
Eppure, ci sono comunque aspetti interessanti che vengono toccati dal paper. Ma le deboli argomentazioni scientifiche di parecchie tracce della seconda parte (soprattutto B) e i relativi pretestuosi auspici (vedi C), ne pregiudicano l'attendibilità generale e probabilmente hanno consigliato Hulme di giocare di rimessa. Il progetto della società a 2000 Watt promosso proprio dall'ETH di Zurigo più di un decennio fa, deve averlo convinto a non forzare troppo il Kolloquium.

Il tema della comunicazione scientifica, nello specifico sui cambiamenti climatici, è molto discusso in vari ambiti, se ne parla anche sui vari blog (ad es. ne parla spesso climalteranti ma se ne è parlato anche su Effetto Cassandra, ad es. qui) e recentemente c'è stato anche un convegno con lo scopo di migliorare l'informazione a riguardo.
Hulme, a proposito di quest'aspetto, ha citato il ruolo propedeutico della recente critica mossa da alcuni altri scienziati allo stato dell'arte in materia (spesso erroneamente associato all'IPCC, organo esclusivamente consultivo e con lo stato dell'arte, passato in rassegna dall'ultimo rapporto, fermo al 2005).

Uno di questi, citati da Hulme, sarà il nostro secondo ospite, ai fornelli con un'altra spezia....

Stay tuned....

Commenti

  1. Framing: lo Hartwell paper era "framato" male? Non ha avuta molta risonanza, forse non era niente di nuovo (*)

    E l'idea che basta ritoccare la forma degli scenari Ipcc con intertitoli e narrative mi pare un po' ingenua.

    (*) Su carbon tax e debundling dei gas serra, ricopiano la posizione dell'Economist ai tempi di Copenaghen. Sarei d'accordo ma per motivi umanitari. I poveri non emettono CO2 bensì metano, black carbon ecc. Aiutarli a ridurli con energie pulite, pratiche agricole e cucine più efficienti costa poco e riduce anche la fame e la povertà.

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  2. Trovo interessante la convergenza di idee che spesso si realizza tra il liberal democratico mittel-europeo Stefano e Sylvie, femminista, ambientalista radical-chic (così purtroppo la definirebbe l'ormai dilagante comune sentire, ovvero "la maggioranza degli italiani" di S.B.).

    Per formazione e cultura dovrebbero apparire differenze ma forse è talmente vasto e profondo il riflusso culturale che si sta realizzando in questo decennio che tutte le opinioni anche minimamente contrarie sembrano simili.

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  3. E condivisibili ...

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  4. @Tel.Cove
    Femminismo e ambientalismo sono radical-chic? Mi sento già ringalluzzita - anche se l'aggettivo non s'addice a un'oca,

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